Storia, cultura, lingue, fedi religiose dei popoli slavi, sono stati gli argomenti di un ciclo di incontri tenuti da Loris Brunello. La grande conoscenza di Brunello del mondo slavo e soprattutto la passione con la quale ha curato le lezioni, hanno reso coinvolgenti e stimolanti gli incontri. Partendo dal testo “Gli slavi” di Francis Dvornik, ci ha introdotto in un mondo vicino a noi, ma allo stesso tempo lontano, quasi sconosciuto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Alfabeto Glagolitico

 

di Ivana Ballarin

 

Gli slavi, questi sconosciuti

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A partire dal VI sec. dopo Cristo grandi flussi migratori di popoli, provenienti principalmente dall’Europa orientale, si sono insediati verso l’Europa centrale e verso i Balcani, fino alla sponda orientale dell’Adriatico.
Le popolazioni slave provenienti da oriente portarono le loro credenze religiose, un sistema politeista sul quale primeggiava Perun, dio della folgore e della tempesta. Il contatto con popoli che da tempo avevano abbracciato il cristianesimo, diede vita al sincretismo cioè l’incontro e la fusione di forme religiose diverse.
Il Dio dei cristiani e la divinità pagana Perun coesistevano, ma Vladimir principe di Kiev avvierà le popolazioni slave verso una scelta monoteista, fino alla cristianizzazione imposta al popolo, dopo aver esplorato le principali fedi monoteiste. Il popolo della Rus’ riceverà il battesimo cristiano, ma angeli e demoni continueranno ad esistere come creature soprannaturali, ostili o favorevoli a Dio, insieme ai santi e alla madre di Cristo, come retaggio del passato politeista.
Testimonianza di ciò che avvenne nei secoli IX e X si trova nel testo La storia dei tempi passati attribuito al monaco Nestore, storico, venerato come santo dalla Chiesa ortodossa, che tratta in modo storico-mitico la costituzione e lo sviluppo del principato della Rus.
Tra storia e leggenda Nestore racconta il rapporto tra slavi e bizantini, l’arrivo dei Variaghi, termine con cui vengono chiamati i Vichinghi, la fondazione di Kiev e l‘invenzione nel IX secolo dell’alfabeto glagolitico da parte dei monaci bizantini Cirillo e Metodio, che consentì ai popoli slavi di comprendere le Sacre Scritture.
Di notevole interesse anche la diffusione del “bogomilismo” , una dottrina che intorno al 1200 fu praticata in Bosnia non solo dal popolo ma anche dai nobili e dai potenti; fu però considerata eretica sia dalla Chiesa cattolica che da quella ortodossa. Da vari testi si ritiene che le radici della “chiesa bosniaca” si estendano già nel primo secolo della cristianità, fondendosi nei secoli con movimenti esoterici , tra cui lo “gnosticismo”.
Il cardine della loro religione è il dualismo, dunque l’esistenza di due princìpi: il principio del bene identificato con il mondo spirituale e quello del male con il mondo materiale. Per sfuggire al dominio di Satanael , il male, l’uomo deve consacrarsi all’ascetismo e possedere la “sofia” cioè la sapienza.
Le vicende della “chiesa bosniaca” si spinsero fino a metà del 1400 con l’arrivo dei turchi e la conversione dei bogomili all’Islam.
Dal nome di Jan Hus deriva il movimento cristiano degli Hussiti che si sviluppò nel XV secolo. Hus assunse posizioni molto critiche nei confronti della chiesa e dell’infallibilità del papa; considerato eretico fu condannato al rogo. Alla sua morte il movimento ebbe un carattere molto più rivoluzionario e nel 1420 furono stilati i “Quattro articoli di Praga”, manifesto della loro dottrina. Dopo lunghe lotte tra le varie fazioni hussite, scomuniche e crociate contro di loro, i cristiani di rito latino concessero una serie di deroghe dottrinali, con la stesura del trattato denominato “Compactata di Basilea”.
La complessità della regione la troviamo anche in un altro libro che Brunello ci ha proposto Serbi, croati, sloveni. Storia di tre nazioni di Jože Pirjevec.
Nel 2002, quando Pirjevec dà alle stampe la versione aggiornata del suo libro, avviene la scomparsa definitiva della Jugoslavia, quando anche serbi e montenegrini rinunciano all’idea jugoslava, cioè quella di poter organizzare uno stato unitario degli slavi del sud, capace di coordinare e armonizzare le loro diversità.
Secondo lo storico, nel fallimento dell’idea, pesa il passato di una terra che da un millennio e mezzo è stata teatro di un drammatico scontro di popoli, civiltà e religioni, caratterizzata da diversa consistenza demografica, storia e tradizioni, divisa per secoli da due grandi formazioni imperiali, quella asburgica e quella ottomana, che hanno deciso del destino dell’Europa e del Mediterraneo.
L’unico legame che consentiva la comunicazione degli slavi del sud era la lingua, anche se ramificata in tanti idiomi; da questo legame e dalla convinzione che l’unione fa la forza, nacque nell’800 l’idea jugoslava, che si concretizzò nel 1918 con il crollo dell’impero asburgico alla fine della prima guerra mondiale. Ma contrasti di civiltà, mire espansionistiche di alcuni stati, guerre cruente degli anni ’90, hanno reso impossibile il processo di integrazione.
Periodi difficili e situazioni crudeli sono descritte nel libro Le due isole , testimonianza raccolta da Loris Brunello della storia di Onorato Bonić , che da giovane fu rinchiuso come dissidente del partito comunista in un gulag di Tito nell’isola Goli Otok.
Le due isole sono l’isola di Lussino, nella quale si trova Nerezine, paese natale di Onorato Bonić e Goli Otok, dove gli internati subivano violenze atroci, come lo “stroj” che era la prima tortura al momento dell’arrivo sull’isola. A pieni nudi, su un sentiero di pietre, dovevano salire tra due ali di prigionieri che li insultavano e picchiavano con pietre e bastoni. Altra tortura subita era il “bojkot”, anni di lavori durissimi, insulti e disprezzo collettivo.

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La prigione di Goli Otok (Isola calva)


Ma dall’esperienza che lo segnerà per tutta la vita, Bonić trarrà un grande insegnamento, quello di non odiare le persone ma odiare il sistema e per odio intende la volontà di rifiutarlo, combatterlo per il bene proprio e degli altri. Il suo desiderio era quello di far conoscere la sua storia, perché la memoria di ciò che accadde fosse un insegnamento per le generazioni future. E’ una “piccola storia”, ma testimonia come le persone comuni paghino spesso sulla propria pelle le decisioni dei potenti.
Le lezioni di Brunello ci hanno consentito di conoscere anche un esempio di convivenza possibile come quello di Sarajevo, cuore della Bosnia, soprannominata “la Gerusalemme d’Europa” per la convivenza al suo interno di tre diverse religioni: l’Islam, il Cristianesimo e l’Ebraismo, fra le quali esisteva un rapporto di rispetto e tolleranza, come testimonia uno dei più grandi scrittori bosniaci, Ivo Andric, premio Nobel per la letteratura nel 1961.
Dalla “Lettera del 1920” è tratto questo bellissimo brano:

Chi passa la notte sveglio a Sarajevo può udire le voci della sua oscurità. Pesantemente e inesorabilmente batte l’ora sulla cattedrale cattolica: due dopo la mezzanotte. Passa più di un minuto - esattamente, ho contato, 75 secondi - e solo allora si annuncia con un suono più debole, ma acuto, l’orologio della chiesa ortodossa che batte anch’esso le “sue” due ore. Poco dopo si avverte con un suono rauco e lontano la torre dell’orologio della Moschea del Bey, che batte le undici, undici ore degli spiriti turchi, in base a uno strano calcolo di mondi lontani e stranieri.
Gli ebrei non hanno un loro orologio che batte le ore, il loro Dio è l’unico a sapere che ore sono in quel momento da loro. Quante in base al calcolo dei sefarditi, quante secondo il calcolo degli askenazi.
Così anche di notte, mentre tutto dorme, nel conto delle ore vuote del tempo veglia la differenza che divide questa gente assopita che da desta gioisce e soffre, che si nutre e digiuna in base a quattro diversi calendari, ostili tra loro, e che rivolge tutte le sue preghiere allo stesso cielo in quattro diverse lingue ecclesiali.

Durante il corso mi sono spesso chiesta quale fosse la percezione della propria identità nelle popolazioni della ex-Jugoslavia e Brunello mi ha consigliato di ascoltare l’intervento di Abdul Sidran, poeta e intellettuale di Sarajevo, ad una conferenza su “Identità, Bosnia ed Europa”.
Ho ascoltato con molto interesse l’intervento di Sidran. Il suo pensiero e la sua voce sono chiari su come intende il tema dell’identità. Vede la Sarajevo dell’inizio del ‘900 come città di molte lingue, religioni, incrocio pacifico di culture diverse.
Identità come inclusione, non come causa di divisione e di guerre. Il problema, dice Sidran, nasce per le pretese territoriali che creano conflitti e guerre.
Nell’intervento mi ha colpito molto la profondità della frase di Sidran riguardo il senso dei bosniaci di “voler essere i migliori” e cioè non solo bosniaci ma anche un po’ italiani, un po’ spagnoli, arabi... appunto identità come inclusione!